La seconda ferita è l’abbandono.
Può avvenire nella primissima infanzia ed è legata al fatto che i nostri genitori “ci lasciano” per qualcosa o qualcun’altro.
Per esempio: nasce un fratellino e la nostra mamma non ha più tempo per noi, oppure deve tornare a lavorare e ci lascia al nido, oppure c’è un’emergenza in famiglia e veniamo mandati dai nonni.. e così via.
E’ importante capire che l’abbandono non è qualcosa di “volontario”, noi magari siamo molto amati e il nido ci fa tanto bene… ma interiormente ci sentiamo molto feriti e non abbiamo gli strumenti per elaborare l’abbandono che sentiamo profondamente.
E quindi… mettiamo in campo una difesa: la maschera del DIPENDENTE.
La maschera del dipendente cerca di difenderci dalla più grande paura dell’abbandonato: la SOLITUDINE.
Essere dipendenti da qualcuno o rendere gli altri dipendenti da noi fa si che noi ci illudiamo di non essere soli, di non venir più abbandonati.
Può anche avvenire un paradosso: più sento il bisogno della persona che amo e che voglio vicino e più la respingo per la paura di essere abbandonato in futuro.
Quali sono le caratteristiche del “DIPENDENTE”? Ecco un identikit: – Spesso parla di assenza e solitudine. – Spesso è malaticcio e ipocondriaco, cerca attenzioni e cure. – ha bisogno “fisico” dell’altro, tocca e abbraccia molto. – Chiede spesso consigli, indicazioni, a volte di cui non ha bisogno, ma lo fa istintivamente per stare “in relazione” con gli altri. – Sul lavoro tende a voler un capo e delle indicazioni da seguire. – Tende ad aiutare oltremisura gli altri per assicurarsi la riconoscenza e la vicinanza. – Può essere stacanovista e disponibile a straordinari sacrificando anche i propri interessi personali.
Come si può elaborare questa ferita? Non c’è una “ricetta”.. ma entrare a contatto con la sensazione di essere “lasciati soli” sentendo e consapevolizzando il desiderio profondo di accudimento può essere un inizio.
Se riconosciamo di essere molto richiedenti di attenzioni proviamo a chiederci “da chi voglio davvero l’attenzione?” Di solito la risposta è “mamma” o “papà”. Da qui si può aprire un bel lavoro su noi stessi.
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